Chiara Duzzi

Leonardo D’Anneo nasce a Milano nel 1954, vive la sua adolescenza nei roventi anni ’70, con gli scontri politici, la rivoluzione di costumi obsoleti, l’avanzare del progresso, la nascita di nuove correnti artistiche e musicali, in un momento in cui l’artista Christo impacchettava i monumenti in piazza Duomo nella plastica e i Pink Floyd suonavano The Dark Side of the Moon.
Negli anni Leonardo D’Anneo si porta dentro questo vissuto di passioni e di ideali vivissimi, terminata la scuola, lavora in un ambiente esule dal campo artistico, ma sente la necessità di esprimersi attraverso la musica suonando la chitarra elettrica tra swing e blues, la ceramica arriva poi negli anni novanta, egli stesso dichiara che è stato un vero: “coup de foudre”, amore a prima vista.
Egli non si ispira a nessun artista o ad uno stile particolare, fumando la sua pipa e ascoltando la musica, lascia che la sua vena interiore lavori nei momenti in cui l’idea chiama il creatore a produrre, allora plasma la materia e porta alla luce forme morbide e sinuose che diventano: sculture, vasi, lampade. L’artista utilizza un tipo di argilla o ne mescola diverse, porta la cottura a differenti gradazioni ottenendo risultati estetici unici: alcune opere sembrano di pietra grezza, altre sono lucide perché vetrificate a 1.100 gradi, nascono così vasi “Siamesi” dai rilievi rigati che ricordano il cartone ondulato o punzonati come nelle antiche tavole medioevali, o texture di muri bicolori o pareti rocciose. Spesso D’Anneo si ispira al magma vulcanico che raffreddandosi porta in luce minerali diversi fusi insieme, un esito naturale a cui l’artista fa riferimento e molte sue lampade in monocottura ripetono l’effetto grezzo dei marmi agglomerati.
La sua intuizione nella foratura delle lampade, fa si che l’artista crei un linguaggio personalissimo e contemporaneo. “Notte” ricorda i concetti spaziali di Lucio Fontana dove la tela viene bucata per andare aldilà del supporto a catturare l’universo, ma anche i processi di combustione di Alberto Burri, creati in un momento in cui l’Arte ricorda la distruzione dopo le guerre mondiali e lavora con i materiali di riciclo.
L’artista opera con la stessa forza gestuale: ora i fori sono casuali, ora prendono la forma dei semi delle carte, o delle stelle, sono grandi e piccoli distribuiti in maniera imprevedibile lungo tutta la superficie delle lampade, fori geometrici raggruppati in alto o in basso per generare un effetto di controllata luce bianca o colorata. Nei vasi, i fori sono piccole dilatazioni che vanno a contribuire a quel ricamo estetico informale utile ad alleggerire la materia.
Le sue sculture ci riportano alle vellutate linee delle opere di Henry Moore e alle onde fluttuanti di Giò Pomodoro, i titoli rievocano temi sociali come “Fuga”, “Abbraccio” “Vita”, ed ecologici come: “Vulcano”.
“i Cocci di Leo” sono corpi in movimento, hanno le caratteristiche della sensualità femminile, le tinte sono grezze virili e delicate insieme, giocano con qualsiasi ambiente e stile in cui vengono collocati, le luci creano atmosfere intime e rilassanti: cromoterapia, in un rituale quotidiano.
Chiara Duzzi

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